Una società liquida, sempre in cerca di un contenitore per assumere forma, poco incline a mantenere dritta la schiena, non è capace di indignarsi, protestare e denunciare formalmente. Subisce in silenzio voltandosi dall’altra parte. L’odierno servizio giornalistico, contenete l’immagine del paziente “medicato” con il cartone, è l’emblema di una società smarrita, senza punti di riferimento e priva di forza per contrapporsi al devastante degrado, principalmente culturale e sociale, diffuso giorno dopo giorno all’interno di un territorio  baciato dal sole ma apparentemente abbandonato al peggiore dei destini. L’immagine diffusa “urbe et orbi”, sui social, al Tg della Rai, nazionale e regionale, è un vero e proprio deterrente per le aspettative di crescita e sviluppo della nostra regione; appare inoltre come una dato incombente sulle timide riprese turistiche, commerciali ed economiche registrate recentemente. Ancor di più, la spiacevole circostanza, è la testimonianza di un fallimento senza misura per il settore della sanità regionale; ed infine, a mio giudizio, la sommatoria dei fatti pregressi è una grave offesa nei confronti della dignità  umana, in taluni casi costretta ad accettare il niente in alternativa al dovuto. Questa spettacolarizzazione potrebbe assumere ulteriori valenze: sarebbe potenzialmente configurabile una potenziale strategia volta ad aprire il sipario dell’emergenza, conferendo il via libera per poter reagire alla penuria del sistema mediante protocolli straordinari; dall’altro potrebbe esserci il conclamato punto di non ritorno per l’attuale governance del settore sanitario calabrese, attualmente guidato da un Commissario straordinario,  insediatosi il 23 marzo 2015 nella delicatissima funzione sottratta, per necessità ed urgenza, alla gestione diretta della politica. Non è mio compito giudicare l’operato dell’attuale responsabile del comparto sanitario calabrese, mi limito semplicemente a constatare i fatti alla luce di quanto appreso. Da Cittadino e da professionista ho il diritto di indignarmi a seguito dell’immagine fornita ad un parterre di spettatori, di cui è impossibile definirne la quantità e la qualità delle opinioni espresse a fronte di quanto accaduto. Personalmente non intendo riconoscermi in questo stato di cose. Esprimo con sentimento di amarezza, solidarietà ai medici ed ai pazienti, costretti sempre e di più a curare ed essere curati più dalla mano della Provvidenza che dalle strutture e dai mezzi previsti dai protocolli medici. Confido con particolare speranza nell’operato degli inquirenti ed auspico provvedimenti chiari, evidenti e tangibili affinché tutto ciò non accada in futuro. Vorrei continuare ad essere ottimista per questa nostra Calabria.  Vorrei poter assistere a garbate e puntuali prese di posizione provenienti da quel tessuto sociale sano e propenso a costruire una primavera calabrese mediante un lavoro politico serio ed animato dalla volontà di servire il territorio e la sua gente con passione e dedizione. Non può più essere negata l’evidenza dei fatti: la Calabria ed i calabresi sono stremati; queste testimonianze deprimono ulteriormente il sistema, rendendo forte la rassegnazione e facendo vincere il silenzio, divenuto ormai assordante.  Continuando così non sarà più possibile spazzare via l’abitudine di quanti  sono propensi a vedere e vivere tali avvenimenti non considerandoli più come un grave disagio ma considerandoli  mera normalità. Tutto ciò, soprattutto all’interno delle fasce più deboli, diviene l’incessante alimentazione di rapporti interpersonali particolari, praticati  più per convenienza che per convinzione con il chiaro intento di poter contare, in qualsiasi momento, della “buona parola” messa a disposizione dall’amico o del compare di turno per superare la difficoltà incombente del momento nel migliore dei modi. Purtroppo, questa metodica appare sempre più ricercata e praticata, soprattutto nelle società particolarmente deboli e marginali. Non c’è da meravigliarsi, le origini di questo modello si perdono nella notte dei tempi. Difatti, il ricorso all’amico con ottime conoscenze è stato il viatico prediletto per sentirsi più sicuri proprio nei casi di particolare necessità. La causa di tale dipendenza potrebbe essere anche individuata nell’evoluzione di uno Stato moderno, incagliato nella propria burocrazia, spesse volte poco efficiente e quindi più lento. La crescente insicurezza sociale e la recente crisi, hanno reso sempre più ricorrente tale rimedio proprio per far fronte alle necessità. La stratificazione delle popolazioni Meridionali, col passare del tempo, ha reso questo modello d’agire sempre più presente, al punto tale di averlo diffuso, non solo all’interno del segmento familiare ma persino esportato in una parte dell’universo giovanile con il chiaro intento di poter rendere più breve la strada da percorrere. I conti torneranno sempre: l’obbligazione per il favore ricevuto verrà parzialmente estinto, alla prima tornata elettorale utile. Sarà quest’ultima la vera causa dello sfacelo posto sotto i nostri occhi?

2 commenti su “L’INDIGNAZIONE È UN CHIARO SEGNALE DI RISCATTO SOCIALE”

  • Caro e stimatissimo Sociologo della Calabria e dei Giovani e aduli di Calabria.
    Ho letto, riletto e interpretato il contenuto della Sua sempre puntuale ulteriore riflessione inerenti le rilevanti dinamiche sociali originate da eventi pregiudizievoli per il buon nome della Calabria anche mia.
    Non ho certo la pretesa di tentare di analizzare il fatto mediaticamente riverberato dai media alla pubblica opinione a diffusione nazionale e oltre.
    A mia prima sensazione avverto tanta indifferenza e noia, non disgiunta da un silenzio assordante che genera sgomento.
    La foto nella sua essenza, mi ricorda un l’attentato avvenuto nell’aeroporto di Bruxelles. In quel contesto un Calabrese di nome Antonio Errigo, nel mentre l’emergenza nazionale incombeva si quanti erano presenti sul quel territorio europeo, lui scatto una foto. Fece seguire un suo commento dal titolo:
    “La bambina e il soldato”, articolo ripreso e riverberato dai media nazionali de Esteri. Ora mio carissimo Sociologo è bene che si rappresentino le bruttezze del vivere o non vivere, oppure se vogliamo adoperare una espressione stancante,?della mala vita Calabrese, a patto che i media pongano altrettanta attenzione alle bellezze che sono presenti pure nella bella terra mia, delle quali pochi e non capisco il perché, ne parlano con la stessa intensità delle male fatte dei Calabresi. C

    • Gent.mo Emilio,
      grazie per la Sua puntuale e attenta riflessione. Voglio continuare a confidare in un futuro migliore per la Calabria e per i Calabresi. L’immagine di oggi è stato l’ennesimo pugno allo stomaco ma, contemporaneamente, un chiaro segnale d’incoraggiamento volto a far persistere quei sentimenti di speranza che dovranno trovarci sempre più uniti in una corale volontà di cambiamento.
      Un salutone

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