La paura è un sentimento che continua a dominare la scena sociale in modo sempre più avvolgente. Mentre nei ricordi di moltissime persone persistono ancora gli echi della Seconda Guerra Mondiale, appresi anche dal racconto verbale della generazione direttamente coinvolta, per i più giovani valgono una serie di circostanze, riconducibili anch’essi alla paura. Questi fatti, nel loro insieme, unitamente all’insicurezza dettata da una crisi economica struggente, hanno segnato la scansione della nostra vita, minandone la serenità e l’insieme delle nostre scelte quotidiane. Dall’attacco al World Trade Center, dell’11 settembre 2011, agli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi, per citare alcuni passaggi, è un susseguirsi continuo di circostanze destinati a incrementare il sentimento della paura. A ciò si aggiunga quanto si sta verificando in Siria e sui singoli risvolti appresi in tempo reale. Dopo l’attacco avvenuto l’altra notte, mentre il mondo ascoltava l’intervento del Presidente degli States Donald Trump, a veicolare questi eventi non sono stati più i giornali cartacei, stampati una volta al giorno e destinati all’attenzione di quei lettori propensi a seguire le dinamiche della contemporaneità, ma velocissimi sistemi di comunicazione. Oltre alla notizia, vengono offerte immagini e filmati volti a generare un vero e proprio coinvolgimento emotivo per il fruitore. Lo spettatore oggi è immerso da una parte alla visione della cruenta quantità di informazioni e dall’altra è obbligato ad assistere a spot pubblicitari di vario genere. Queste modalità afferiscono ad una metodologia comunicativa narcotizzante, imbastita da una volontà di spettacolarizzare quanto accade nel mondo. Il fruitore d’informazione, senza rendersi conto, tende ad “abituarsi” lentamente alla visione di ciò che accade in altri luoghi rendensosi inconsapevolmente pronto a qualsiasi degenerazione; alla visione di immagini di guerra vengono somministrati i consigli per gli acquisti per distogliere una quota di capacità riflessiva. Siamo spettatori sistemati costantemente in prima fila, il biglietto pagato consiste nell’aver sempre più paura e la permanenza nella poltrona assegnataci sarà la curiosità di capire chi sarà il vincitore. Dall’insieme di questi atteggiamenti, noi rendiamo costantemente informazioni. Su tali indicazioni verranno elaborate, con la meticolosità di quanti sono dediti al trattamento dei big data, risposte gradite alla maggioranza del pubblico e destinate a generare governi, sistemi bancari e modelli di vita. Recentemente, grazie al caso “Cambridge Analytica” in tanti avranno potuto comprendere l’importanza della gestione delle informazioni aggregate, utilizzate a proprio uso e consumo da chi ne detiene il pieno controllo con l’intenzione di poter gestire le persone e le loro scelte politiche, economiche e sociali. Per rendere chiaro il concetto, vorrei richiamare l’attenzione in merito a quanto è accaduto qualche tempo addietro per i prodotti contenenti olio di palma. Oggi, famosissimi Brand commerciali, mettono chiaramente in evidenza l’indicazione: “questo prodotto non contiene olio di palma”. Il consumatore desiderava una maggiore tutela per la propria salute perché era stato convinto da una comunicazione di massa martellante sulla pericolosità dell’olio di palma e, le, aziende, dopo aver perso chissà quali quantità di prodotti, hanno dovuto rivedere i cicli di lavorazione eliminando l’elemento indesiderato dai consumatori ampiamente divenuto oggetto di denuncia sui social network. Potrebbe essere stato un test per verificare la pervasività della comunicazione mezzo social network? Non lo so. Ognuno può riflettere in merito. Di fatto, vengono create risposte su più fronti, giorno dopo giorno. Tutte queste informazioni vengono rese gratuitamente da ognuno di noi inconsapevolmente. Per gli analisti, siamo spettatori collocati sempre in prima linea e la nostra paura alimenta il grado di curiosità indispensabile a farci controllare, in media, il nostro smartphone una volta ogni 7 minuti. Tutto ciò, rende sempre più ampia la qualità e la quantità delle informazioni rese proprio a chi acquisisce dati, li elabora e restituisce risultati noti a pochi prima del dovuto. Per concludere, potremmo chiederci: tutta questa paura è stata creata volutamente per alimentare gli effetti collaterali, oggi responsabili dell’attuale insicurezza sociale rendendo più facile il controllo di una società più istruita?